Tutto sotto controllo! O forse no?

Durante uno dei miei tirocini, la psicologa che mi faceva da referente mi raccontò che, nella sua esperienza clinica, aveva riscontrato un bisogno di controllo sempre più diffuso e crescente, in particolare nelle persone della mia generazione.

D’altronde, come potrebbe essere altrimenti? Siamo stati cresciuti a pane e performance, ad acqua e fare, a frutta e perfezionismo. Ma anche a verdura e incertezze.

Quindi? Siamo condannati a vivere una vita di corsa, in affanno, in cui tutto deve incastrarsi perfettamente, essere sotto il nostro controllo e lo spazio per l’imprevisto censurato (o ancor peggio, organizzato!)?

Andiamo con ordine: un certo grado di controllo è utile e fisiologico. Innanzitutto, perché siamo animali sociali: il controllo ci permette di regolare i nostri segnali comunicativi in relazione alle altre persone e di inibire i nostri impulsi e le nostre spinte all’azione in relazione al contesto in cui ci troviamo. Cioè, anche se qualcuno ci fa arrabbiare e scatena in noi istinti molto aggressivi, ci pensiamo due volte prima di tirargli un pugno. La stessa cosa immaginiamo che la facciano gli altri, e questo ci consente di stare nel mondo in modo relativamente sicuro, senza il bisogno di guardarci da tutti quelli che incontriamo per la nostra strada.

Inoltre, senza controllo non potremmo pianificare il nostro futuro, vicino o lontano che sia. Cosa piuttosto problematica, se ci pensate. Non potremmo fare la spesa con un’idea di cosa vorremmo mangiare in testa, nessun appuntamento con le persone che sono importanti per noi, nessuna vacanza, nessun lavoro.

Non so se l’avete mai notato, ma anche chi non ha una grande tendenza al controllo, tende a farlo di più quando si trova in situazioni di forte stress, ansia o si è posto degli standard molto elevati da raggiungere (ad esempio, sul lavoro). Anche in questo caso, continuiamo a muoverci in un range di normalità: il nostro cervello cerca di metterci al sicuro dall’incertezza, dal rischio e dalla vulnerabilità. Lo fa in modo flessibile, correlato alla situazione specifica.

E quando il controllo diventa una strategia abituale e persistente? E la mancanza dello stesso mette in seria difficoltà la persona? Le ragioni possono essere diverse. Questo bisogno può parlare di:

  • paura dell’ignoto

  • educazione rigida/eccessivo senso di responsabilità

  • perfezionismo/autocritica

  • scarsa fiducia negli altri

  • scarsa flessibilità

In questo caso, le persone sentono di non poter lasciar andare. Il controllo non è più una strategia utile e orientata al raggiungimento di uno scopo, ma diventa la modalità con cui si affronta la vita. Perché lasciar andare potrebbe significare correre il rischio di prendere decisioni sbagliate, di fallire, di farsi trovare impreparate. E questo, non è accettabile.

E allora, stando sullo stesso tema: vediamo quali sono i rischi del non lasciare (almeno un po’) andare:

  • vivere un’illusione: la realtà è imprevedibile e non è possibile controllare tutte le variabili in gioco

  • sperimentare un costante stato di stress e attivazione (con conseguenze psicofisiche)

  • privarsi della spontaneità e della possibilità del vivere anche il qui ed ora

  • compromettere la qualità delle relazioni

Diciamo che a questo punto ci siamo convinti che forse, in effetti, controlliamo un po’ troppo. Ma è davvero possibile smettere di farlo? Come?

  • Acquisendo consapevolezza sul proprio funzionamento: quali sono i comportamenti controllanti che mettiamo in atto? Quali sono le emozioni e le paure che li guidano? Rendercene conto può aiutarci a provare ad agire in modo diverso.

  • Attraverso l’esperienza: imparare a tollerare le proprie e altrui imperfezioni, l’imprevedibilità della vita, eventuali fallimenti ed errori è un percorso.

  • E se l’abitudine è dura a morire? Terapia!

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Ansia e meditazione