Ansia e meditazione
Molte persone (me compresa) si avvicinano per la prima volta alla meditazione o alla mindfulness con la speranza di trovare un modo di rilassarsi e di placare i pensieri della mente che corrono nella testa alla velocità della luce, rimbalzando impazziti da una parete all’altra, senza mai trovare una via d’uscita.
I più ansiosi, saranno sicuramente rimasti delusi. Tachicardia, nodo in gola che si fa sempre più pesante, piedi che improvvisamente diventano dotati di vita propria, impossibili da tenere fermi, viscere aggrovigliate più che mai. La prima volta che mi sono seduta a terra, con le gambe incrociate, cercando di focalizzare la mia attenzione sul respiro, sono durata cinque minuti. Il cuore martellava fortissimo, tanto che mi sembrava di sentirlo distintamente. Non da dentro il mio corpo, ma da fuori, come un rullo di tamburi in lontananza. Quando poi ho provato la pratica del bodyscan, che consiste nello spostare deliberatamente la consapevolezza attraverso le diverse parti del corpo, ho deciso che la mindfulness non faceva decisamente per me. Il mio corpo urlava pietà e io ero più agitata che mai.
Eppure, le evidenze scientifiche riguardanti l’efficacia della mindfulness sugli stati d’ansia sono ben note. Solo per citarne una, (ma online ne potete trovare a bizzeffe) uno studio della Johns Hopkins University ha dimostrato che la pratica meditativa forniva, in soggetti che soffrivano di ansia e depressione, un sollievo maggiore rispetto ai risultati ottenuti con il solo utilizzo di farmaci antidepressivi (che, forse non tutti sanno, vengono utilizzati non solo nei disturbi depressivi, ma anche in quelli riguardanti ansia o panico).
E allora perché meditare può essere così fastidioso e frustrante? Si tratta, in realtà, di un’esperienza piuttosto comune. Soprattutto in quelle persone che hanno problematiche legate all’ansia o per quelle che sono abituate a una corsa continua, sia nella vita reale che nella propria mente. Per chi ha imparato che “lasciare il controllo” significa “pericolo”.
La meditazione è a tutti gli effetti un allenamento, e come tale richiede tempo e costanza prima di poter diventare uno strumento utile: lo sapevate che meditare modifica persino le strutture cerebrali? Immaginate di andare in palestra senza aver mai fatto esercizio fisico - a me è successo -, che fate? Probabilmente mollate - io l’ho fatto -. Perché quando ci poniamo degli obiettivi e non riusciamo a raggiungerli, ci convinciamo di non esserne in grado. Nella mindfulness questo si traduce in pensieri come: “non riesco a rilassarmi; sento fastidio dappertutto, dove sbaglio?; continuo a distrarmi; ho troppi pensieri, è evidente che questa pratica non faccia per me”.
Personalmente, il vero punto di svolta, è stato prendere atto che la mindfulness non è performance, non ci sono degli obiettivi da raggiungere o dei risultati da conquistare. “Nemmeno quello di vivere più serenamente/essere più rilassati?”. Nemmeno quello. “Nemmeno quello di ridurre lo stress o regolare meglio le proprie emozioni?”. Nemmeno quello. Questi sono effetti della mindfulness (insieme a tanti altri, come l’aumento delle capacità di concentrazione e di memoria) che si raggiungono con il tempo e la pratica. Ma non sono mai scopo.
Lo scopo, quello vero, è di formare attivamente la mente per aumentare la nostra consapevolezza.
Può sembrare paradossale: è un abbandonare il controllo per guadagnare controllo. In questa prospettiva, quando arriva il pensiero, invece di farci coinvolgere o di andare in frustrazione pensando che non siamo fatti per meditare, possiamo prenderne atto, vederlo, osservarlo, accoglierlo. Tornare con gentilezza alla nostra pratica. Scoprire che, dopo l’onda del cuore a mille e del nodo in gola, c’è un orizzonte di pace.
Difficile, per noi occidentali, abituati a criticarci e voler fare sempre tutto bene, secondo i nostri tempi e i nostri modi. Ma possibile. Anche per i più strenui controllanti.
Tutto questo per dire che se la vostra prima esperienza con la mindfulness è stata, come per me, faticosa e frustrante, aspettate a trarre le vostre conclusioni: non significa che non siate all’altezza o che questa pratica non faccia per voi. Anzi, al contrario, questa fatica potrebbe essere segno dell’importanza di costruire uno spazio interiore in cui poter permettere ai vostri pensieri, emozioni e sensazioni di fluire, senza bisogno di farci nulla.